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Da una collina annerita a una colorita diversità

L’incendio di Leuk nel 2003 ha distrutto 300 ettari di foresta. Keystone

Alberi carbonizzati, enormi macchie nere che sfregiano il paesaggio… Nei paesi più caldi ricoperti di foreste, le cicatrici degli incendi sono tristemente famigliari. Recenti roghi scoppiati in Svizzera hanno dimostrato che le misure di prevenzione vanno adattate alla natura del bosco.

Dieci anni fa la Svizzera ha vissuto uno dei suoi più devastanti incendi a memoria d’uomo: la sera del 13 agosto 2003, il fuoco divampò nelle alture sopra il villaggio di Leuk, in Vallese.

La Svizzera è un paese piccolo, ciò che significa che anche i suoi boschi sono minuscoli, se paragonati a quelli di altri paesi. A Leuk, le fiamme distrussero «solo» 300 ettari di foresta. Questa esiguità del territorio significa però anche che i boschi si trovano spesso molto vicini alle zone abitate.

L’incendio di Leuk non è stato l’unico ad entrare nella memoria nazionale. Appena due anni fa, nell’aprile 2011, un rogo scoppiato sul versante opposto della valle del Rodano, a Visp, distrusse 100 ettari di bosco. E trent’anni fa, un altro grosso incendio devastò la Val Monastero, nel sud-est del paese.

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Funzione protettiva

Uno dei principali problemi, è costituito dal fatto che le foreste sui versanti della vallate svolgono un ruolo cruciale nella protezione delle infrastrutture da valanghe e frane. Quando vengono a scomparire, si deve intervenire in modo urgente.

I passi da intraprendere dipendono dal tipo di foresta. A Visp, il 95% del bosco distrutto dalle fiamme aveva una funzione protettiva. A Leuk, la percentuale era di gran lunga inferiore, anche se la superficie persa è stata molto più grande.

Una delle prime misure per prevenire l’erosione consiste nell’abbattere gli alberi bruciati, lasciando i ceppi e collocando tra di essi i tronchi tagliati.

«A Leuk questo accorgimento era l’unico attuabile in breve tempo e a un costo ragionevole», spiega Alban Brigger, dell’Ufficio delle foreste e del paesaggio dell’alto Vallese. «A Visp abbiamo fatto la stessa cosa e la misura si è rivelata efficace. Ma abbiamo anche dovuto installare reti protettive a altre cose di questo genere».

Un’altra opzione è di piantare alberelli. Il canton Vallese tende a non privilegiare questa soluzione e se lo fa, agisce con moderazione, per accelerare la rigenerazione.

Nella Val Monastero si è invece preferito piantare alberelli prima di procedere all’abbattimento delle piante bruciate. I vecchi alberi sono poi stati adagiati sul terreno in modo tale da proteggere quelli nuovi dai cervi, particolarmente golosi di teneri germogli. La posizione particolare della foresta, tra la Svizzera e il Parco nazionale dello Stelvio, fa sì che questa zona sia un corridoio privilegiato per gli animali.

Anche se piantare nuovi alberi è un’operazione molto meno cara rispetto alla posa di reti e altre protezioni artificiali, non è a buon mercato. Gli alberelli hanno bisogno di cure e di molta acqua. Nella Val Monastero, si è dovuto irrigare per cinque anni, seppur solo nei periodi di siccità. Anche così, però, il costo dell’irrigazione equivale più a meno ai soldi spesi per l’acquisto delle piante, osserva Hansjörg Weber, dell’Ufficio forestale del canton Grigioni.

In ogni caso i costi dell’operazione sono stati compensati dai benefici. «Non volevamo assolutamente correre rischi. Rifarei la stessa cosa», aggiunge.

Rigenerazione naturale

Prima o poi le foreste si rigenerano comunque spontaneamente. Ci vogliono magari alcuni decenni. A volte anche un secolo. E la loro composizione cambia, poiché le diverse specie d’alberi reagiscono in modo diverso al fuoco.

Le querce sulle pendici inferiori del versante devastato dall’incendio di Leuk sono state carbonizzate, ma nello spazio di cinque anni erano di nuovo germogliate. Ciò che non è invece accaduto per i pini silvestri.

«Più incendi vi sono, più querce germoglieranno e più pini moriranno», spiega Thomas Wohlgemuth, responsabile della sezione Ecologia dei disturbi naturali presso l’Istituto federale svizzero per la ricerca sulla foresta, la neve e il paesaggio.

Dopo l’incendio nella Val Monastero, un certo numero di caducifoglie sono spuntate spontaneamente laddove prima erano assenti, afferma Weber. I semi di pioppi, salici, betulle e sambuchi rossi sono stati portati dal vento e hanno attecchito dove la foresta era bruciata.

«È naturalmente positivo, perché queste specie pioniere contribuiscono a stabilizzare il suolo». Un altro vantaggio per questo particolare bosco: i cervi preferiscono i caducifogli, ciò che significa che lasciano tranquille le giovani conifere.

Negli ultimi vent’anni, in media sono andati distrutti ogni anno 374 ettari di foresta in 90 incendi.

Spesso è impossibile determinarne le cause. Si ritiene però che la negligenza dell’uomo sia responsabile nel 90% dei casi. Gli incendi dolosi rappresentano il 12%, i fulmini il 10%.

La maggior parte degli incendi si registra a sud delle Alpi, in Ticino e nei Grigioni. In queste aree, in estate si accumula una notevole quantità di biomassa, tra cui quella prodotta dai castagni, particolarmente combustibile, e le scarse precipitazioni invernali fanno sì che il suolo sia piuttosto secco. Gli incendi si verificano soprattutto tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera.

Nelle vallate alpine centrali, soprattutto in Vallese, si registrano di norma 10-15 incendi. Accadono principalmente in estate, quando la temperatura elevata rinsecchisce le foreste di pini.

Negli ultimi trent’anni, il rischio di incendi di boschi a nord delle Alpi è aumentato, a causa di un aumento dei periodi caldi e secchi.

Fonte: Ufficio federale dell’ambiente e Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio

Quali lezioni in materia di prevenzione?

La maggior parte dei fuochi di foresta – almeno l’80%, secondo Wohlgemuth – è causata dagli esseri umani, spesso per imprudenza, a volte volontariamente. Poiché le estati diventano sempre più calde e secche a causa del cambiamento climatico, il rischio di incendi aumenta.

«Lo sappiamo e perciò le misure di prevenzione sono state intensificate. Ciò è avvenuto dopo l’incendio di Leuk. Negli ultimi dieci anni vi è stata una diminuzione della superficie boschiva distrutta dalle fiamme. Non sappiamo se si può parlare di fortuna o se sono i primi risultati delle misure di prevenzione adottate», aggiunge.

Questi provvedimenti comprendono una più grande disponibilità di acqua, la costruzione di piste attraverso la foresta per permettere ai veicoli antiincendio di intervenire, nonché equipaggiamento e formazione migliore per i vigili del fuoco. Inoltre i sistemi di allarme sono stati potenziati e l’opinione pubblica sensibilizzata.

«Abbiamo costruito degli estintori speciali per gli elicotteri, che permettono di imbarcare acqua molto rapidamente», spiega Weber. Fare intervenire un elicottero per spegnere un incendio costa qualche migliaio di franchi, mentre se si devono riparare i danni di una foresta andata in fumo, il prezzo si calcola in milioni.

La popolazione è anche più consapevole e non ha più alcuna esitazione ad alzare la cornetta per avvertire i servizi forestali quando nota del fumo sospetto, aggiunge Weber.

Processo di guarigione

La vista di un paesaggio bruciato lascia poche persone indifferenti, inclusi gli specialisti.

«La prima volta che sono andato nella foresta di Visp, sono rimasto fortemente colpito», dice Brigger. «Mi ricordo perfettamente l’odore acre degli alberi bruciati. Inizialmente si è confrontati con una pressione tale che, lavorando quasi notte e giorno, non si ha tempo di interiorizzare questa sensazione. Più tardi mi svegliavo la notte con questo odore nelle narici. Col tempo, però, si riesce a prendere un po’ di distacco».

Trent’anni dopo, Weber ricorda ancora con precisione l’incendio che per tre settimane devastò la Val Monastero: la gente era terrorizzata perché non sapeva quando sarebbe stato spento.

In seguito l’Ufficio forestale del canton Grigioni ha organizzato una serie di incontri con la popolazione per spiegare ciò che si stava facendo. «Informare il pubblico è stata un parte importante del nostro lavoro».

Pur causando distruzioni terribili, il fuoco può però anche avere un risvolto positivo. «Alla gente posso dire che i danni perdurano per uno o due anni – sottolinea Thomas Wohlgemuth. Dopodiché vi è una sorta di processo di guarigione. Dopo l’incendio di Leuk vi è stata un’incredibile rigenerazione, con un aumento della biodiversità a diversi livelli, per le piante, gli insetti e gli uccelli. È un fenomeno molto colorito e assai interessante».

Circa un terzo della superficie della Svizzera è ricoperto da boschi e la metà di queste foreste ha anche una funzione protettiva, per salvaguardare popolazione e infrastrutture da possibili disastri naturali, come valanghe e frane.

La maggior parte delle foreste protettive si trova in aree montagnose.

Tra il 2008 e il 2011, il governo federale svizzero ha investito ogni anno 250 milioni di franchi nella protezione contro i pericoli naturali. Il 24% di questa somma è impiegato per mantenere o migliorare la funzione protettiva del bosco.

L’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM) effettua periodicamente un monitoraggio dei boschi per valutare il loro stato di salute e pubblica le eventuali allerte in caso di rischi di incendio.

La Confederazione stanzia inoltre contributi finanziari per i dispostivi di prevenzione degli incendi, come le reti di idranti o i bacini per l’estinzione del fuoco.

Su mandato dell’UFAM, l’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio gestice una banca dati centralizzata che riunisce tutti i dati statistici relativi agli incendi di bosco.

Fonte: Ufficio federale dell’ambiente

(traduzione e adattamento di Daniele Mariani)

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