Il villaggio “svizzero” degli schiavi

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“Atila, sei credente?” – “No, è una questione di stile” (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

A fine pomeriggio, i ragazzi di Helvecia si ritrovano spesso all’ombra dei manghi centenari per giocare a pallone. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

Tre giovani ballano la capoeira davanti alla vecchia stazione di Helvecia, costruita nel 1898 per facilitare l’esportazione del caffè. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

In occasione della festa di San Sebastiano viene commemorata la battaglia tra mori e cristiani. Una tradizione ereditata dai coloni europei. (Helvecia, gennaio 2016) ©Dom Smaz

La festa di San Sebastiano è uno degli eventi più popolari della regione. I giovani arrivano dai paesi vicini per danzare e bere in compagnia. (Helvecia, gennaio 2016) ©Dom Smaz

Un luogo di culto dedicato alla Madonna, nel quale si fondono le religioni indigena brasiliana, animista africana e cattolica europea. Oggi questa forma di sincretismo viene apertamente condannata dai movimenti evangelicali, che stanno prendendo sempre più piede in America latina. (Helvecia, gennaio 2016) ©Dom Smaz

Un bambino sta per saltare nel fiume Peruipe, dal quale partiva il caffè coltivato nella colonia leopoldina, che nel 1850 rappresentava il 90% di tutte le esportazioni brasiliane di caffè. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

Tre donne si esibiscono in una danza tipica africana, antenata della samba. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

La vecchia stazione ferroviaria di Helvecia è un importante luogo di ritrovo: qui si trova infatti uno dei pochi punti di accesso a una rete wi-fi libera. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

Un’ex chiesa oggi utilizzata come abitazione privata. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

I bambini di Helvecia tornano a casa coi regali di Natale ricevuti da un’organizzazione cristiana. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

La tomba della famiglia Sulz, l’unica di origine svizzera ad essere rimasta nel villaggio di Helvecia. (Helvecia, gennaio 2016) ©Dom Smaz

Rosemar Cerquiera Rafael tiene tra le mani il ritratto del bisnonno Henrique Sulz, il primo della famiglia ad essersi installato a Helvecia. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

Una giovane donna è stata ricoperta di olio di palma per un rito religioso d’iniziazione. (Helvecia, giugno 2016) ©Dom Smaz

I bambini di Helvecia aspettano in fila i regali di Natale portati da un’associazione cristiana. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

Aspettando la notte. (Helvecia, dicembre 2015) ©Dom Smaz

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Helvecia, un villaggio nello Stato brasiliano di Bahia, è ciò che resta di due grandi aziende agricole gestite da un emigrante svizzero, Johann Martin Flach. Nato a Sciaffusa nel 1787, il latifondista aveva ricevuto queste terre direttamente dalle mani dell’arciduchessa Maria Leopoldina.

Nel 1818 una manciata di svizzeri fondarono una colonia nel nord-est del Brasile: Helvecia, oggi conosciuta come il “villaggio dei neri”.

Tra questi emigranti figurava anche Johann Martin Flach. Lo sciaffusano, che aveva molte conoscenze alla corte reale brasiliana, gestiva da Rio una delle coltivazioni più estese della colonia di Maria Leopoldina, arciduchessa d’Asburgo e prima imperatrice consorte del Brasile.

A lavorare nei campi erano soprattutto gli schiavi. Il loro numero aumentò progressivamente, al punto che alla fine degli anni 1850 la colonia leopoldina ne contava 2’000, contro 200 bianchi.

Oggi a Helvecia vive ancora una famiglia discendente di immigrati svizzeri e tre famiglie tedesche. Oltre l’80% della popolazione ha invece radici africane.

Il villaggio, che conta poco più di un migliaio di abitanti, gode di uno statuto speciale, quello di comunità “quilombola”, un riconoscimento ufficiale del suo passato e della sua specificità.

(Immagini: Dom Smaz)

Translated from French by John Heilprin