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Il paradosso iraniano: una potenza regionale indebolita dall’interno

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Manifestazioni antistatunitensi a Baghdad dopo l'uccisione del generale iraniano Soleimani. Ma in Iraq ad essere osteggiata - sottolinea Mohammed Reza Djalili - non è solo la presenza americana, bensì anche quella iraniana. E questo anche tra gli sciiti. Copyright 2019 The Associated Press. All Rights Reserved

L'Iran dovrebbe potere proseguire la sua politica d'influenza nella regione, ma sul piano interno si trova in una situazione complicata. L'analisi del professore emerito del Graduate Institute di Ginevra Mohammed Reza Djalili.

La decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di eliminare il generale iraniano Qassem Soleimani non ha diminuito il potere regionale dell’Iran. Il suo successore Esmail Ghaani sembra essere in grado di continuare la politica di influenza del regime dei mullah nella regione, secondo Mohammad-Reza DjaliliCollegamento esterno, professore emerito del Graduate Institute di Ginevra. Tuttavia, sul fronte interno il regime si trova più che mai in una situazione difficile, sottolinea l’esperto di origine iraniana.

Il leader supremo della Repubblica Islamica dell’Iran ha affermato mercoledì che il lancio di missili su basi che ospitano soldati americani in Iraq è “uno schiaffo in faccia” agli Stati Uniti. “Ma non è ancora abbastanza – ha proseguito Ali Khamenei – e la presenza corrotta degli Stati Uniti nella regione deve finire”.

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Il capo della diplomazia iraniana, Mohammad Javad Zarif, ha precisato che il lancio di missili era una risposta proporzionata e che Teheran non cercava l’escalation o la guerra con gli Stati Uniti. È credibile?

Se ci si fida di queste dichiarazioni, si può dire che non è l’inizio di una guerra. Da parte iraniana, sembra che ci sia la volontà di fermarsi qui per il momento. È una buona notizia per la popolazione iraniana, poiché in caso di conflitto aperto con gli Stati Uniti ci sarebbero molte vittime.

L’eliminazione del generale Qassem Soleimani non sembra in grado di minare la politica di influenza dell’Iran nella regione, contrariamente a quanto sostenuto da Washington per giustificare la sua esecuzione. È d’accordo?

La morte di Soleimani ha un forte significato simbolico perché la sua aura era immensa e perché, per anni, la propaganda del regime si è basata sull’immagine del generale che volava di vittoria in vittoria.

È stato sostituito dal suo vice Esmail Ghaani, che conosce bene i problemi dei Paesi arabi dove sono attive le forze delle Guardie rivoluzionarie. Condivide la stessa rete di persone in Libano, Siria e Iraq. La continuità sembra quindi assicurata.

Esmail Ghaani avrà quindi un potere enorme come quello di Soleimani, che rispondeva direttamente alla Guida Suprema, pur disponendo di mezzi finanziari propri. Soleimani non era un semplice generale. Era il proconsole dell’Iran nella regione, una potenza politica e non solo militare. Tutti gli ambasciatori iraniani a Baghdad, Damasco e Beirut provengono dalle Guardie rivoluzionarie da lui guidate. Esmail Ghaani gestirà una parte essenziale di tutta la politica estera iraniana che sfugge al Ministero degli Esteri iraniano.

Esmail Ghaani ha quindi le spalle abbastanza solide per proseguire questa politica?

In ogni caso ne dà l’impressione, poiché è perfettamente consapevole di questa politica. È sempre stato al fianco di Soleimani sul campo ed è sempre stato in contatto con tutti i partner della Repubblica islamica in questi paesi.

Degli analisti evocano la possibilità che alcuni di questi partner non si accontentino della replica iraniana e che conducano attacchi senza l’avallo di Teheran, contro ad esempio Israele o Arabia Saudita. Questo rischio esiste?

Finora, si può dire che, nel complesso, hanno sempre seguito gli ordini delle Guardie rivoluzionarie, sia in Libano, che in Siria o in Iraq. Certo, il rischio che alcuni gruppi agiscano in modo autonomo c’è. Ma anche se ciò dovesse accadere, queste azioni non potrebbero essere di grande portata. Questi “clienti” dipendono dall’Iran in termini di mezzi finanziari e militari.

L’Iraq, che è al centro della crisi attuale, sta vivendo una grande rivolta popolare che denuncia in particolare l’influenza dell’Iran e il ruolo svolto da Soleimani. Questa protesta scemerà di fronte alla prova di forza attuale?

Probabilmente è più una questione di tempo. La contestazione alla presenza iraniana in Iraq è molto profonda, non solo tra i sunniti ma anche tra gli sciiti. Forse le manifestazioni saranno interrotte e riprese in un secondo momento. Quello che i manifestanti chiedono è che l’Iraq diventi veramente indipendente e possa occuparsi dei propri affari, senza interferenze straniere.

Questo, del resto, è quanto dice il testo adottato dal Parlamento iracheno dopo il bombardamento del generale Soleimani: chiede il ritiro delle forze straniere, non solo americane. Con questo testo si è voluto accontentare anche quella parte dell’opinione pubblica ostile alla presenza iraniana. Il sentimento nazionalista iracheno che ha operato durante la guerra Iran-Iraq è ben lungi dall’essere scomparso di fronte alle molteplici interferenze iraniane, interferenze che si sono manifestate anche nella nomina dei vari governi iracheni.

Lo Stato iracheno resta comunque molto fragile.

Dall’intervento americano nel 2003 e passando dal ritiro delle truppe statunitensi deciso da Obama e dalle vicende legate allo Stato islamico, l’Iraq è totalmente destabilizzato. Nessun governo è mai riuscito ad imporsi. Del resto, oggi vi è solo un governo ad interim che, teoricamente, si occupa unicamente degli affari correnti.

Il regime dei mullah sembra per ora uscire vincitore da questa prova di forza con gli Stati Uniti. Tuttavia, è anche indebolito dalle sanzioni e dalle proteste interne. Come potrà cambiare la situazione?  

La situazione interna dell’Iran è in effetti molto preoccupante per il regime, poiché la contestazione persiste e sta diventando continua. Il malcontento popolare è enorme e la situazione sta diventando ingestibile. L’Iran è sull’orlo del fallimento, a partire dal suo sistema bancario.

Il regime non riesce a riformarsi. Continua a ripetere gli slogan di 40 anni fa, allorché il contesto interno è cambiato, così come il contesto internazionale. Anche la popolazione non è più la stessa di quella che diede il via alla rivoluzione khomeinista. Il regime è molto abile nell’organizzare manifestazioni di sostegno, ma rimane in una situazione di stallo e non sa come rispondere agli iraniani se non con una repressione brutale, come ha fatto durante le manifestazioni di due mesi fa. Non è certo un’espressione della sua forza, al contrario.

Traduzione di Daniele Mariani

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