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Draghi, quantitative easing serve ancora

Manteniamo la rotta. KEYSTONE/EPA/STEPHANIE LECOCQ sda-ats

(Keystone-ATS) La ripresa nell’Eurozona è sempre più forte e le differenze tra i paesi si vanno attenuando. Ma è ancora troppo presto per chiudere il rubinetto del quantitative easing (Qe), perché l’inflazione non è nemmeno vicina al target. Parola di Mario Draghi.

Il presidente della Bce, in audizione davanti alla commissione economica del Parlamento europeo, assicura che il “sostegno straordinario” della Banca centrale proseguirà ancora per un po’.

Ma gli Stati, soprattutto quelli ad alto debito e bassa crescita devono fare di tutto per rafforzare la propria ripresa, perché, quando i tassi ricominceranno a salire, pagheranno un conto salato sugli interessi. Francoforte è anche pronta alla Brexit: garantirà il sostegno alle banche che dovranno trasferire le proprie attività nella zona euro.

“Rimaniamo fermamente convinti che una quantità straordinaria di supporto alla politica monetaria è ancora necessaria per riassorbire l’attuale livello di risorse non utilizzate e perché l’inflazione rientri e si stabilizzi in modo duraturo intorno al 2% nel medio termine”, ha detto il presidente nel suo intervento.

Il quadro, comunque, sta certamente migliorando. “La ripresa sta diventando sempre più solida e continua ad ampliarsi”, la “disoccupazione è scesa al livello più basso dal 2009”, la fiducia di consumatori e imprese è salita. Ma “le pressioni sull’inflazione” e quelle domestiche dagli stipendi, sono ancora “insufficienti a sostenere una duratura convergenza sull’inflazione verso l’obiettivo di medio termine” e quindi “abbiamo ancora bisogno di condizioni del credito molto accomodanti”. Detto in altre parole, nonostante i “primi segnali di una ripresa dell’inflazione”, è ancora “molto, molto presto per farci pensare di cambiare posizione sulla politica monetaria”.

La Bce continuerà quindi a fare la sua parte, anche perché le misure stanno funzionando. “Sostenendo i redditi nominali, le nostre misure di politica monetaria stimolano gli investimenti e i consumi, che sono precondizioni perché l’inflazione torni sotto, ma vicino, al 2%”.

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