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In che modo l’ONU vuole responsabilizzare le multinazionali

Manifestation à Brisbane
La società civile esercita una pressione continua sulle multinazionali affinché si assumano le loro responsabilità sociali, anche sul piano fiscale, come in questa protesta del 2014 a Brisbane (Australia) in occasione di una riunione del G20. Getty Images

È da quasi 50 anni che l'ONU e le sue agenzie stanno studiando il modo di far rispettare i diritti umani alle imprese transnazionali. Alcuni dei suoi Stati membri, come la Francia e il Regno Unito, hanno recentemente adottato leggi più severe. Gli svizzeri potrebbero seguire questa tendenza votando a favore del progetto di legge proposto dall'iniziativa popolare "Per delle multinazionali responsabili". 

In Europa la responsabilità sociale delle imprese è una problematica che emerge in modo inedito nel XIII e XIV secolo con l’aumentare del potere delle città, dei grandi mercanti e di un commercio internazionale in forte espansione, come racconta la storica francese Catherine Kikuchi, in un articoloCollegamento esterno recentemente apparso sul sito The Conversation. 

Ma bisognerà aspettare la seconda metà del XX secolo affinché si estenda all’insieme delle nazioni coinvolte, con i paesi del sud divenuti attori a pieno titolo nella storia dei paesi occidentali. 

Dalla creazione della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTADCollegamento esterno, fondata nel 1964 dall’Assemblea generale dell’ONU su richiesta dei paesi del sud emergenti dell’era coloniale), i rappresentanti di diversi Stati hanno cercato di appellarsi alle imprese transnazionali affinché dessero prova di responsabilità sociale o hanno pensato ai mezzi per costringerle a farlo.  

Lo testimonia, ad esempio, il discorso pronunciato dal presidente cileno Salvador Allende in occasione della terza sessione della UNCTAD, tenutasi a Santiago del Cile nell’aprile del 1972. Dopo aver parlato dell’ “espansione delle grandi società multinazionali che si prendono gioco degli accordi tra governi”, il presidente socialista denunciava “l’azione saccheggiatrice di questi consorzi e il loro grande potere corruttore sulle istituzioni pubbliche tanto dei paesi ricchi quanto dei paesi poveri. I popoli si oppongono a questo sfruttamento ed esigono che i governi interessati cessino di concedere una parte della loro politica economica estera a imprese private, le quali si attribuiscono il ruolo di agenti promotori del progresso delle nazioni povere e si trasformano in una forza sovranazionale che rischia di diventare incontrollabile”.

Una rimessa in discussione promossa dal Movimento dei paesi non allineati che auspicava un nuovo ordine economico mondiale. Figura emblematica di questa corrente, Salvador Allende fu destituito l’anno seguente da un colpo di Stato militare. Il golpe era sostenuto dagli Stati Uniti e da compagnie americane come l’International Telephone and Telegraph (ITT), un’impresa che incarnava all’epoca il potere esorbitante delle multinazionali sugli Stati, almeno nei paesi socialisti opposti ai paesi capitalisti (o del mondo libero di fronte al totalitarismo comunista, secondo i paesi occidentali). 

Nel 1979 il cantante nigeriano Fela Anikulapo Kuti dedica una canzone alla compagnia ITT

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Professore di economia dello sviluppo al Graduate Institute di Ginevra (HEID), Gilles CarbonnierCollegamento esterno commenta: “Eravamo in piena Guerra fredda. Un gruppo di Stati ha messo in piedi la UNCTAD per affrontare la questione delle imprese transnazionali. Ma le discussioni si sono velocemente trasformate in un dialogo fra sordi che non ha permesso di far progredire la causa dei diritti umani legata alle attività delle imprese transnazionali”. 

Con il crollo dell’Unione sovietica e la vittoria di un’economia di mercato trascinata da compagnie multinazionali più potenti che mai, la questione è tornata sul tavolo delle Nazioni Unite nel corso degli anni ’90, attraverso un sottogruppo della Commissione per i diritti umani (rimpiazzata dal Consiglio per i diritti umani nel 2006). Intitolata inizialmente “Draft Universal Guidelines for CompaniesCollegamento esterno“, una prima proposta è elaborata dal giurista statunitense David Weissbrodt. 

Il suo documento giuridico riprendeva semplicemente gli obblighi degli Stati nell’ambito dei diritti umani e li applicava alle multinazionali. Senza troppe sorprese, la proposta ha suscitato la levata di scudi del settore affaristico e dei paesi occidentali con la loro volontà di regolare mondialmente la liberalizzazione dei mercati, anche attraverso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nata nel 1995. 

Le multinazionali ammettono finalmente il problema

“Ma quest’iniziativa ha comunque fatto muovere i rappresentanti di qualche grande multinazionale che si sono detti disposti a mettere in atto le raccomandazioni di questo sottogruppo”, sottolinea Carbonnier.

La risposta del settore economico si è realizzata con la Business Leaders Initiative on Human RightsCollegamento esterno. Questa associazione, attiva dal 2003 al 2009, raggruppava imprese come ABB, AREVA, Barclays, Coca-Cola, Ericsson, General Electric o Novartis Foundation for Sustainable Development. Riassumeva in questo modo la sua attività: “Nel 2003, ci siamo impegnati per trovare dei metodi pratici per mettere in atto la Dichiarazione universale dei diritti umani nel contesto delle imprese. Questi metodi pratici sono ora chiari alle imprese. La nostra prossima sfida consiste nel metterli in atto nelle nostre organizzazioni ovunque nel mondo”. 

Nello stesso momento, Kofi Annan, all’epoca Segretario generale dell’ONU, nominava un professore di Harvard, John Ruggie, rappresentante speciale sulle questioni relative alle imprese e ai diritti umani. “Politologo, Ruggie ha adottato un approccio pragmatico basato sui principi dei diritti umani , dialogando  con le imprese, le ONG e gli Stati per arrivare a un accordo sulle responsabilità rispettive del settore privato e degli  Stati firmatari delle convenzioni dei diritti umani”, spiega Carbonnier.

Siccome gli Stati hanno la responsabilità di rispettare e far rispettare i diritti umani, le imprese devono a loro volta rispettarle nell’ambito delle loro attività ovunque nel mondo. 

Buona volontà o costrizione

Ma in che modo? “In nome del concetto giuridico della “due diligence” (dovuta diligenza) le imprese devono effettuare una valutazione dei rischi prima di investire, poi prendere ogni misura necessaria per ridurre questi rischi e prevedere strumenti a cui ricorrere in caso di abuso. Un’esigenza che si è materializzata con l’adozione dei Principi Guida su imprese e diritti umaniCollegamento esterno“, spiega Carbonnier. Principi adottati all’unanimità dal Consiglio dei diritti umani nel 2011. 

Su questa base, il Consiglio dei diritti umani sviluppa diverse iniziative. Nel 2011, istituisce il Gruppo di lavoro sulle imprese e i diritti umani. Il suo obiettivo è “condividere e promuovere le buone pratiche e gli insegnamenti tratti dalla messa in atto dei Principi Guida”. Quest’iniziativa punta sulla buona volontà delle imprese, senza obblighi giuridici.

Ma l’idea di istituire un quadro vincolante non è del tutto scomparso. È l’obiettivo di un altro gruppo di lavoro, la cui costituzione è stata approvata a stretta maggioranza nel 2014, durante la presidenza dell’Ecuador al Consiglio per i diritti umani. Si tratta in questo caso di porre le basi di un futuro trattato internazionale vincolante sulla responsabilità giuridica delle multinazionali, fondato sui Principi guida dell’ONU. Ma questo obiettivo suscita nuovamente una grande opposizione da parte delle imprese e di molti Stati, in particolare occidentali. Le sue possibilità di concretizzarsi sono dunque molto esili. 

I governi occidentali evolvono

Da qui a pensare che le più potenti multinazionali possano continuare i loro affari in tutta tranquillità il passo è breve, ma Carbonnier ritiene che non sia scontato che ciò avvenga: “Come ha dichiarato John Ruggie, è compito di ogni Stato integrare i principi nella legislazione nazionale. I piani d’azione nazionale si costruiscono dunque attorno a due approcci in opposizione: uno incentivante, l’altro giuridicamente vincolante”, precisa Carbonnier.

Si può citare l’esempio della Francia che adotta nel 2017 il dovere di vigilanza, includendo le relazioni dei gruppi francesi con tutti gli attori nella loro catena di produzione, permettendo il ricorso ai tribunali in caso di violazioni. Nel Regno Unito invece è il “Modern slavery act” del 2015 a dare un giro di vite sul lavoro forzato su suolo britannico e nelle catene di approvvigionamento. 

“Una questione cruciale è determinare se un querelante di un paese in via di sviluppo possa rivolgersi a un giudice per denunciare la casa madre nel caso di violazione commesse in una filiale estera”, sottolinea Carbonnier che fa notare come le cose si stiano muovendo anche in Germania. Lo scorso novembre, un tribunale tedesco ha accolto la denuncia di un agricoltore peruviano la cui comunità ha subito gli effetti distruttivi dello scioglimento dei ghiacciai. Questa querela è nei confronti di RWE, la più grande impresa energetica tedesca, quindi una grande produttrice di CO2, il principale ‘carburante’ del riscaldamento climatico.

Sulla base dei Principi guida dell’ONU e sotto pressione dell’opinione pubblica, gli Stati occidentali adottano leggi più vincolanti sulla responsabilità sociale e ambientale delle imprese e delle loro filiali. Quanto alla Svizzera, potrebbe fare questo passo se i suoi cittadini accettassero l’Iniziativa “Per delle multinazionali responsabili”. Una votazione che potrebbe avere luogo verso la fine di quest’anno.

Dancing on the ruins of multinational corporations, una canzone degli anni ’90 di Casey Neil. 

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Problemi d’immagine e movimenti sociali

Quest’evoluzione è spinta a livello internazionale dai movimenti sociali e da una serie di scandali che hanno coinvolto imprese come la Shell nel Mare del nord, oppure fabbricanti di vestiti che producevano in condizioni criticabili, ma anche dei pesi massimi nel commercio di materie prime, alcuni dei quali basati in Svizzera. 

“Un certo numero di imprese ha compreso il valore che un quadro più chiaro delle loro responsabilità potrebbe avere, anche per la loro immagine”, commenta Carbonnier. Le norme e le attese della società evolvono rapidamente in questo ambito, cosa che influenza l’evoluzione del diritto”. Questo avrà sicuramente un effetto sui dibattiti all’ONU e in Svizzera.

The Messenger Band, gruppo formato da ex operai tessili della Cambogia (2005) che denunciano le loro condizioni di lavoro.

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Traduzione dal francese, Zeno Zoccatelli

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