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CN: iniziativa giudici stranieri va respinta

Parlamentari durante il dibattito al Consiglio nazionale in attesa del voto finale, giunto poco prima di mezzanotte. KEYSTONE/ANTHONY ANEX sda-ats

(Keystone-ATS) Spetterà ora al popolo – forse già in novembre – pronunciarsi se vuole o meno che il diritto costituzionale elvetico abbia la precedenza su quello internazionale.

Al termine di un dibattito animato protrattosi su più giorni, il Consiglio nazionale, al pari degli Stati, ha raccomandato nella tarda serata di oggi per 127 voti a 67 di respingere l’iniziativa dell’UDC “Contro i giudici stranieri”. All’iniziativa non verrà opposto alcun controprogetto. Il dossier è pronto per le votazioni finali.

Depositata il 12 agosto 2016, la proposta di modifica costituzionale dell’UDC vuole sancire il primato del diritto costituzionale su quello internazionale e obbligare le autorità ad adeguare i trattati internazionali che contraddicono la Costituzione e a denunciarli, se necessario.

Col lancio di questa proposta di modifica costituzionale, l’UDC intende correggere una decisione del Tribunale federale del 2012, quando i supremi giudici si sono pronunciati contro l’espulsione di un cittadino tedesco condannato, appellandosi alla libera circolazione delle persone.

Nonostante le decine di oratori – se ne sono iscritti per parlare ben 83! – succedutisi alla tribuna, il voto negativo finale del plenum era immaginabile fin dall’inizio delle discussioni: tutti i gruppi parlamentari, tranne ovviamente i democentristi, hanno raccomandato infatti di respingere una modifica costituzionale che, a loro parere, mette in pericolo il benessere e la stabilità della Svizzera, nonché i diritti umani, un’argomentazione quest’ultima che ha fatto da filo conduttore per tutta la durata del dibattimento (questo aspetto sarà senz’altro un cavallo di battaglia degli avversari dell’iniziativa, n.d.r).

Dibattito animato

Come ci si attendeva, il dibattito è stato animato, con frequenti battibecchi tra deputati, specie quando gli esponenti del campo rosso-verde si sono rifiutati di rispondere ai quesiti dei colleghi democentristi, accusando quest’ultimi di voler fare “melina”, ossia di voler protrarre il voto finale a settembre, ciò che obbligherebbe il Consiglio federale a spostare la consultazione popolare al 2019, anno di elezioni. Non vi lasceremo sfruttare questa iniziativa per fare campagna elettorale, è stato il “refrain” ripetuto più volte alla tribuna dalla sinistra.

L’UDC ha tentato anche stasera, in apertura delle discussioni, di “silurare” il dibattito, chiedendo il quorum. Ma anche questo tentativo ha fatto “buca”: erano presenti 125 deputati – sebbene sia stato necessario richiamarli in aula, dando loro cinque minuti di tempo!, ciò che ha fatto andare su tutte le furie l’UDC, n.d.r -, 24 in più del necessario.

Di fronte all’atteggiamento per certi versi scostante degli avversari dell’iniziativa, alcuni deputati UDC hanno sfruttato il tempo di parola loro concesso, e la diretta televisiva, per dar sfogo a tutta la loro frustrazione, chi agitando una Svizzera sotto forma di marionetta in mano all’Ue, chi tappandosi la bocca con del nastro adesivo ai colori della bandiera europea.

Diritti umani in pericolo

Come detto, molti avversari dell’iniziativa, specie a sinistra ma non solo, hanno improntato i rispettivi interventi sul pericolo che l’iniziativa UDC porti alla disdetta della Convenzione europea dei diritti umani. Per Marina Carobbio Guscetti (PS/TI) e Marco Romano (PPD/TI), l’iniziativa è un attacco frontale ai diritti umani e, se accolta, avrebbe conseguenze negative per la reputazione della Confederazione a livello internazionale.

La Corte europea dei diritti umani esiste per proteggere il singolo dall’arbitrarietà della maggioranza. Col voler mettere il popolo al di sopra di tutto e tutti come accaduto in alcuni frangenti del XX secolo si finisce col costruire uno Stato totalitario. Non sempre il popolo prende le decisioni giuste, hanno sostenuto diversi oratori.

Preservare piazza economica

Il ticinese Giovanni Merlini (PLR) ha messo in rilievo quanto sia importante per l’attrattiva economica della Svizzera la stabilità delle sue relazioni internazionali, stabilità che verrebbe messa a repentaglio qualora l’iniziativa venisse accolta. Per poter prosperare, la Svizzera deve essere considerata affidabile, e quindi rispettosa degli accordi internazionali (di cui parecchi approvati dal popolo, come la libera circolazione delle persone).

La neutralità elvetica, ha poi ricordato l’esponente locarnese del PLR, si è consolidata nel corso dei secoli grazie al diritto internazionale, proprio ciò che ora viene messo in discussione. La Svizzera, Paese fortemente globalizzato, non può tagliare i ponti con l’estero. Ripiegarsi su se stessi è una soluzione obsoleta.

Ridare potere al popolo

Noi vogliamo semplicemente fare in modo che le decisioni del popolo vengano applicate, hanno dichiarato “urbi et orbi” molti esponenti democentristi (tra cui il ticinese Marco Chiesa), spalleggiati dai due rappresentanti ticinesi – Lorenzo Quadri e Roberta Pantani – della Lega dei ticinesi. Per Chiesa, Pantani e Quadri l’antipatia di molti ambienti nei confronti dell’iniziativa si spiega col fatto che il popolo dà fastidio.

Chiesa ha parlato, rivolto agli avversari politici, di “picconatori della democrazia”. La Costituzione e la democrazia vengono prima del diritto internazionale, ha affermato il deputato luganese, secondo cui la Svizzera non è una “colonia” e non ha bisogno di tutori internazionali.

Diritti umani già garantiti

Quanto al fatto che i diritti umani sarebbero in pericolo in Svizzera, secondo Quadri la Svizzera non deve prendere “lezioni da nessuno”; i timori espressi circa un’eventuale disdetta della Convenzione europea dei diritti umani sono mere “illazioni”. Insomma, secondo Pantani e Chiesa simili affermazioni degli avversari dell’iniziativa sono “una bufala” per mettere a tacere il popolo. I diritti umani sono d’altronde già garantiti dalla Costituzione federale.

Circa le presunte ricadute negative per l’economia, la Svizzera secondo Quadri continuerà ad esportare anche se l’iniziativa venisse accolta dal popolo, come d’altronde ha sempre fatto anche prima che venissero siglati i Bilaterali I con Bruxelles. In merito alle raccomandazioni contro l’iniziativa emesse dalle grandi organizzazioni economiche, ebbene secondo Quadri si tratta degli stessi ambienti che vorrebbero restringere i diritti popolari.

No a una camicia di forza

In apertura del suo intervento, la consigliera federale Simonetta Sommaruga ha ricordato che la prosperità e il benessere della Svizzera dipendono dalla sua cultura democratica e dalla sua apertura verso l’esterno.

La ministra di giustizia e polizia ha ricordato che i numerosi trattati internazionali, come quello sulla libera circolazione con Bruxelles, sono stati adottati liberamente dalla Svizzera, e molti di questi hanno ottenuto anche il suggello popolare.

La Costituzione, secondo la ministra bernese, dichiara anche che la Confederazione e i Cantoni rispettano il diritto internazionale. I tribunali, come anche il Parlamento, in caso di contraddizione tra diritto costituzionale elvetico e diritto internazionale decidono caso per caso.

Tra l’altro, ha ricordato la consigliera federale socialista, se il legislatore deroga consapevolmente al diritto internazionale, il Tribunale federale deve attenersi a tale decisione (cosiddetta prassi Schubert). Tale prassi è stata confermata dal Tribunale federale anche dopo il 2012, ha rammentato.

Per Sommaruga, obbligando il Parlamento a disdire i trattati internazionali che sono in contraddizione con la Costituzione federale, si limita eccessivamente il nostro margine di manovra sia del parlamento che dei tribunali. Invece di chiarezza, l’iniziativa crea secondo Sommaruga insicurezza giuridica.

No quindi a una “camicia di forza” che avrebbe conseguenze negative soprattutto per l’economia, ha dichiarato la responsabile del Dipartimento di giustizia e polizia.

Per Sommaruga, l’iniziativa va contro la nostra cultura giuridica ed è troppo radicale poiché dipinge la realtà in bianco e nero, senza sfumature. Secondo Sommaruga, i trattati possono sempre essere disdetti, ma non è il caso di prevedere un obbligo a livello costituzionale.

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